Mettere piede sulle isole estoni ha ancor’oggi il sapore di una conquista proibita. Esattamente come 800 anni fa, quando mantello bianco spiegato al cielo e croce nera ad ottenebrare gli occhi, qui giunsero le armate dei cavalieri teutonici.
I boschi di betulle continuano a essere attraversati da sommessi cachinni, il vento salmastro è sempre pronto a sorprendere con la violenza del mare in tempesta, mentre all’orizzonte pare quasi impossibile scorgere anima viva. Allora gli abitanti locali si erano radunati al completo sull’unico “rilievo” che Muhu conosca, una postazione difensiva alta qualche metro fra i villaggi di Linnuse e Aljava, decisi a far avanzare le guarnigioni germaniche per ingaggiare l’ultimo e fatale scontro su territorio estone.
Guidati dai rappresentanti più insigni
dei diversi distretti, i “maa”, si appellavano disperatamente al dio della luce
e del tuono, bruciavano primizie al dio di quella terra tanto scura, che oggi
sventola orgogliosamente nella banda nera del tricolore nazionale, ma si
prostravano pure alla lucertola, al serpente e alla rana, davanti a qualunque
creatura in grado di ostacolare la spietata marcia a est dei monaci guerrieri.
Non ci fu nulla da fare: nel 1227 l’arcipelago
di Oesel, che oggi comprende appunto le isole di Muhu e Saaremaa, capitolò di
fronte all’attacco congiunto di tedeschi e danesi. “Che i cristiani di Sassonia
e Westfalia difendano la Chiesa di Livonia – aveva sentenziato Papa Innocenzo
III nella sua bolla del 1199 - e in cambio riceveranno la remissione dei loro
peccati”. Quell’ordine si era di fatto trasformato in una delle più cruente
crociate che il Medioevo abbia conosciuto, ma se da una parte contribuì a
rilevare i ricchi traffici estoni di cera e miele, di pesce seccato e
soprattutto di ambra gialla, dall’altra non ricondusse mai veramente le
insofferenti popolazioni di ceppo ungro-finnico sotto la croce di Roma.
Lo si intuisce dalla strana forma delle
chiese isolane, più simili a fortezze che a luoghi di culto: le pareti bianche
all’esterno dell’edificio di Lausend, ad esempio, hanno in tutto e per tutto l’aspetto
di severi bastioni, pronti a resistere alle torce infuocate di abitanti in
rivolta da un momento all’altro; possenti croci di pietra, soffocate dal
muschio, sono conficcate tutt’attorno a mo’ di filo spinato, mentre all’interno
la mano pia degli scultori non è del tutto riuscita a occultare le immagini di
fluttuanti divinità armate di lancia.
Lungo la strada che dalla tenuta neogotica di Paedeste guida ai laboratori del legno di Liiva, affiora poi un circolo di pietre al cui interno svetta un impressionante dolmen.
Pare sia il primo insediamento abitato dell’isola di Muhu, risalente al 2.500 avanti Cristo, ma richiama con prepotenza i tipici ovoo sciamanici in cui l’ebbra danza a suon di tamburo barcolla nelle notti di plenilunio.
E ancora: sorvolando la linea di un orizzonte bucato da paludi e canneti, tempestato di saune impudiche all’aria aperta o capanne in legno dai colori accesissimi, non è raro incrociare i peccaminosi siti per la celebrazione della festa di mezz’estate: accanto alle gigantesche altalene di legno, che sono solite essere decorate dai fiori più colorati della campagna, una pira di rami e frasche è sempre in attesa della fiamma purificatrice.
Non è neppur escluso che, frugando sotto qualche cespuglio, sbuchi una vecchia bottiglia di vodka o del famoso liquore d’erbe “Vana Tallinn”, grazie a cui le notti s’inebriano di canti sguaiati e i boschi si riempiono di coppie in amore.
“Un altro solstizio d'estate era
arrivato. – racconta a proposito lo scrittore Juhan Jaik, in “Notte di mezz’estate”
- Quando il sole man mano calava e i boschetti, lontani e vicini, si
scioglievano in un tenue color bluastro, quando la bruma si alzava dai laghi,
avvolgendoli teneramente nel grigio della notte, allora il cielo cambiava.
Diventava di un rosa denso, mentre a ovest gridava ancora di rosso.
L'incandescenza notturna del cielo di ponente rischiarava i pinnacoli e le
facciate delle chiese, mentre le cime degli abeti scintillavano, quasi le foglie
acuminate avessero graffiato, fino a farli sanguinare, gli stormi di cornacchie
volteggianti, e ora quelle stesse gocce di sangue languivano sui rami simili a
perle delicate. Anche le colline rilucevano misteriosamente al tramonto. Un
pennello distratto aveva tracciato, colpendolo con forza, una grossa chiazza
rossa su un tronco di betulla, data come in preda a furore e agitazione, tanto
da schizzare di vernice gli aghi di pino. C'erano più falò che stelle in cielo;
brillavano enigmaticamente, come creature viventi che si strizzano l'occhio a
vicenda, in segno di amichevole riconoscimento”.
L’arcana magia di questi riti senza tempo non rivive solo ai cambi di stagione, ma pervade la quotidianità di ciascun abitante di Muhu e Saaremaa, distante secoli dai rinnovati traffici anseatici di Tallinn, benché ad appena 150 chilometri circa dalla capitale. In realtà queste isole sono così vicine alla costa che, durante la stagione invernale, nessuno resiste alla tentazione d’impugnare il volante e lanciarsi a tutta velocità sulle “strade di ghiaccio”, ovvero su quegli spessi ponti galleggianti che sino all’arrivo della primavera trasformano il golfo estone in una sconfinata pista da rally.
L’arcana magia di questi riti senza tempo non rivive solo ai cambi di stagione, ma pervade la quotidianità di ciascun abitante di Muhu e Saaremaa, distante secoli dai rinnovati traffici anseatici di Tallinn, benché ad appena 150 chilometri circa dalla capitale. In realtà queste isole sono così vicine alla costa che, durante la stagione invernale, nessuno resiste alla tentazione d’impugnare il volante e lanciarsi a tutta velocità sulle “strade di ghiaccio”, ovvero su quegli spessi ponti galleggianti che sino all’arrivo della primavera trasformano il golfo estone in una sconfinata pista da rally.
Igakuula potrebbe sembrare un museo a
cielo aperto, con le sue abitazioni dai tetti di canna e i pozzi a corda, ma
poco o nulla è davvero cambiato dai tempi in cui qui riparavano i più insigni
scrittori d’Estonia in cerca d’ispirazione.
Le decine di mulini a vento che salutano da un capo all’altro delle isole non hanno mai smesso di far roteare le proprie pale traforate, proprio come le onde del Baltico, che proseguono imperterrite a scolpire capolavori nella grigia pietra calcarea delle scogliere a strapiombo: sono le “vette” del Paese, nonostante difficilmente superino i 20 metri di profondità. E’ come se ogni rigurgito rivoluzionario finisse qui per impantanarsi irrimediabilmente, forse complici i ricchi fanghi che, dal 1824, hanno fatto di Kuressaare la capitale dei trattamenti terapeutici del vecchio impero zarista.
Le decine di mulini a vento che salutano da un capo all’altro delle isole non hanno mai smesso di far roteare le proprie pale traforate, proprio come le onde del Baltico, che proseguono imperterrite a scolpire capolavori nella grigia pietra calcarea delle scogliere a strapiombo: sono le “vette” del Paese, nonostante difficilmente superino i 20 metri di profondità. E’ come se ogni rigurgito rivoluzionario finisse qui per impantanarsi irrimediabilmente, forse complici i ricchi fanghi che, dal 1824, hanno fatto di Kuressaare la capitale dei trattamenti terapeutici del vecchio impero zarista.
Neppure la caduta di un meteorite è
stata in grado di smuovere da questa terra le sue genti: quando più di 4mila
anni fa il cielo fu tagliato da una sfera incandescente, s’interpretò l’evento
come una benedizione degli dei (tanto che il mito di Fetonte pare sia stato
ispirato proprio da quest’impatto), anziché come la più grave collisione di un
corpo extraterrestre mai registrata in zone abitate. Esistono in realtà
leggende anche più colorite, come quella che vuole il lago un nascondiglio del
Sole, vittima dei sortilegi della terribile strega Viro: capace di far apparire
la Luna in cielo, esattamente come di occultare l’astro del giorno, traeva i
suoi diabolici poteri proprio dalle forze segrete di quest’isola. Oggi il lago
di Kaali è andato ad occupare un cratere ampio quasi 110 metri, è circondato da
un bosco rigoglioso e conserva un’aurea quasi mistica, ma al tempo stesso
appare un monito ai feroci bombardamenti e alle temibili operazioni militari
che accompagnarono l’arrivo dei sovietici sull’isola di Saaremaa.
Sull’onda dell’inarrestabile avanzata verso Berlino, le truppe dell’Armata Rossa s’imbatterono nel 1944 in un’agguerritissima guarnigione tedesca rimasta sull’isola: entrambi sorpresi di trovarsi faccia a faccia col nemico in un posto tanto sperduto, ingaggiarono una furiosa battaglia che spazzò via a colpi di cannone i pochi rilievi allora esistenti, lasciando sul campo migliaia di vittime.
Sull’onda dell’inarrestabile avanzata verso Berlino, le truppe dell’Armata Rossa s’imbatterono nel 1944 in un’agguerritissima guarnigione tedesca rimasta sull’isola: entrambi sorpresi di trovarsi faccia a faccia col nemico in un posto tanto sperduto, ingaggiarono una furiosa battaglia che spazzò via a colpi di cannone i pochi rilievi allora esistenti, lasciando sul campo migliaia di vittime.
Proprio all’imbocco della penisola di
Saare, l’estremo avamposto meridionale di Saaremaa, lo scontro è ricordato da un
monolite in cemento armato, in cui sono scolpiti i volti risoluti degli eroi
bolscevichi: osservano una distesa di tombe romboidali, su cui una stella a cinque punte s’affanna ad accomunare nomi recisi da ogni angolo d’Eurasia.
E’ tutto ciò che resta della loro gloria
imperitura. Le possenti basi missilistiche che il Partito aveva nascosto in
queste isole, a un tiro di schioppo dall’Occidente capitalista, versano oggi in rovina. Da
quando le ultime truppe se ne sono andate, nel 1994, rampe e magazzini sono
stati abbandonati a sé. Bidoni arrugginiti, pneumatici accatastati ed
enigmatiche scritte in cirillico, continuano a riempire di fantasmi questi
boschi dai mille segreti, mentre gli ingressi alle postazioni dei missili
intercontinentali sono pronti a inghiottire chiunque osi sfidarne le viscerali
profondità, avvolgendolo fra le spirali argentee di un buio senza speranza.
Ce l’hanno fatta. Gli spiriti degli
antenati sono riusciti a riprendersi finalmente quanto la mano dell’invasore
aveva loro sottratto; ed è forse per questo che nell’urlo dei gabbiani, qui
ancor più che altrove, ritrova voce il disperato appello di chi per troppo
tempo sospirò la fuga sulle onde. Il canto “rivoluzionario” che infiammò il
1991. La promessa di un’Estonia che non deve più rendere conto a nessuno,
fuorché a se stessa.
FANGHI MAGICI
Dal momento che le virtù dei fanghi
locali erano note sin dai tempi degli zar, in Estonia si contano sedici
stabilimenti ufficiali per cure terapeutiche. Fra i più
apprezzati spiccano quelli di Saaremaa Valss, Meri e Rüütli, tutti e tre legati
alla prestigiosa catena Saaremaa Spa Hotels ed ubicati nella capitale dell’isola
più grande, Kuressare. Qui vengono trattati con successo casi di reumatismi,
atrofie e cura della pelle, grazie alla forte salinità dei fanghi isolani, che
agisce da depuratore epiteliale, favorendo al contempo la permeabilità delle
proprietà lenitive dei fanghi stessi. I metodi d’applicazione abbondano:
vengono proposti massaggi classici (per favorire la circolazione sanguigna ed
il metabolismo), massaggi sportivi (adatti per accrescere l’elasticità
muscolare), così come linfatici, plantari e aromaterapeutici. Naturalmente
questi trattamenti coesistono con quelli di tradizione orientale, ma l’unicità
dei fanghi di Saaremaa è provata dal fatto che possiedono una concentrazione di
sostanze organiche dieci volte superiore a quella di qualsiasi altro fango
marino, in particolare di solfuro d’idrogeno. Per via delle forti accelerazioni
del metabolismo, già dalle prime applicazioni è possibile trarre grandi
benefici, tant’è che a volte bastano pochi giorni per rimettersi completamente
in forma.
GIGANTI DAI PIEDI DI FANGO
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