Expo
ha già saziato molte pance, ma assai meno anime. A circa tre mesi dall’apertura
del più importante evento internazionale che Milano ospiterà nel 2015,
Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi e Academia-Ikon Rus’ ne hanno
ridefinito il senso, seppellendo definitivamente le polemiche per gli scandali gestionali.
“Nutrire il
pianeta” non significa rispondere solo all’esigenza di garantire cibo per tutti
coloro che, ancor oggi, non possono disporre di prodotti sufficienti alla
sopravvivenza, bensì ritrovare nella fame lo stimolo a trascendere i propri
limiti. Attraverso l’allestimento di un percorso sacro tra icone russe e
immagini lombarde della Madonna del Latte, destinato a guidare dalle opere in
mostra presso lo Urban Center di Milano (sino al 31 gennaio) verso gli
straordinari affreschi disseminati per il territorio regionale, Expo si è infine
rivelata occasione storica per comprendere il valore del nutrimento come
desiderio, ancorché come bisogno.
“Se da una parte il cibo offre ristoro fisico
– ha sottolineato Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco di Milano - dall’altra, al pari del lavoro, porta
anche e soprattutto dignità morale. Questo binomio, troppo spesso focalizzato
solo sulle urgenze materiali, traspare al meglio nella nostra città, grazie all’opera
della Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi: primo esempio di quella
straordinaria rete di aiuto volontario che, non di rado, si sostituisce
addirittura alle istituzioni italiane”. Attraverso le 70mila tonnellate di cibo
fatte pervenire a quasi 2 milioni di cittadini (sui circa 6 che in Italia
ancora soffrono la fame, secondo le stime del Banco Alimentare), si fa dunque
dono di qualcosa di ancor più prezioso di un pasto caldo, o del tozzo di pane
quotidiano: perché nell’atto del nutrimento, della produzione e della
distribuzione del cibo, vive una peculiare forma di bellezza capace di
spingersi oltre l’estetica del gesto, i ricettari salutisti o le evanescenti
guide al gusto di cui la scena odierna è satura.
“Nella storia dell’uomo si
sono palesate almeno tre diverse vie per penetrare il senso della propria
esistenza – ha rilanciato frate Cesare Azimonti, presidente della Fondazione
Fratelli di San Francesco d’Assisi – quella della verità, del bene e della
bellezza, appunto. Quest’ultima è forse la più trascurata, benché appaia la più
vicina alla sensibilità contemporanea: occorre perciò riavvicinarsi al mistero
dell’iconismo per accedere a un livello di visione più profondo e ridare un
senso a quella straordinaria frase di Dostoevskij, per cui la bellezza salverà
il mondo”.
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Madonna Lactans, Ambrogio Lorenzetti (XIV secolo) |
Il primo passo è semplice: basta star fermi.
Sostare di fronte alla bellezza, affinché ne sia possibile la contemplazione e,
attraverso la pazienza del tempo ritrovato, riallacciare un dialogo con quanto
reso invisibile dell’eccesso di visibilità: sopraffatti dal “troppo”, ne siamo
inconsapevolmente disturbati, al punto da non riuscire più ad ascoltare la
nostra voce più intima: perché l’immagine non è che vibrazione di un suono. Nell’era
della comunicazione, il vero lusso diviene allora il silenzio: luogo di ritiro
per eccellenza, che nessuno deve permettere venga insidiato, espropriato o
negato. Come hanno suggerito don Walter Magnoni e Giovanni Boschetti, rispettivamente
responsabile del servizio per la Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi
di Milano l’uno, esperto in arte russa e responsabile di Academia-Ikon Rus’
l’altro, “la nostra società ha bisogno di ri-costruire percorsi di nutrimento
dell’anima, al fine di trovare un nuovo fondamento: a che serve possedere il
mondo, se si perde la propria anima? L’immagine dell’allattamento, universale
ed eterna perché propria di ciascun essere umano, rappresenta uno dei tesori
più preziosi di cui gli edifici del nostro territorio si fregiano, per quanto
spesso adombrata o addirittura nascosta”.
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Panorama Agliate @exploratoridelladomenica.it |
Guida consigliata per la riscoperta di questo
straordinario patrimonio è sicuramente il libro “Una Madonna da nascondere” di
Natale Perego, che ha esplorato e studiato per anni gli esemplari più
emblematici sviluppatisi dall’originaria rappresentazione di Ambrogio Lorenzetti, nella Siena nel XIV secolo (la città toscana che ridonò all’Occidente
uno dei più antichi motivi artistici dell’umanità, eclissatosi negli anni bui
del Medioevo). “La Madonna che allatta è innanzitutto una madre – ha precisato
lo stesso Perego – e la sua straordinaria umanità fu fatta propria anche da
Leonardo da Vinci che, attraverso la sua Madonna Litta, ne favorì la diffusione
a partire dalla Milano degli Sforza per tutto il territorio circostante, dove
eccelse il suo pupillo Marco d’Oggiono. Benché non evidenti, gli esempi
abbondano: di fronte alla tomba del Cardinale Martini, nel Duomo di Milano, è
presente infatti una Madonna del Latte di eccezionali fattezze, ma la si
ritrova anche nella Basilica di S. Lorenzo, fra i reperti del museo Poldi Pezzoli o all’Accademia di Brera. Una fioritura durata poco più di due secoli,
dal momento che già all’epoca della Controriforma, con i cardinali Carlo e
Federico Borromeo, questo soggetto tornò a essere giudicato sconveniente, in
quanto più vicino alle descrizioni presenti nei Vangeli Apocrifi.
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Battistero della basilica di Agliate |
Per trovare
altri esempi di nutrizione sacra, al di là delle zucche e del cibo scolpiti sui
portali del Duomo milanese, occorre allora inoltrarsi per i territori della vicina
Brianza, a nord di Milano, fra Lecco e Como: da Sabbioncello di Merate a
Galliano, da Cantù a Erba, Inverigo e Brivio, sino a Galbiate o Agliate, le
donne dell’epoca trovavano nella Madonna del Latte l’unico vero conforto
durante i loro travagliati parti e la successiva solitudine cui erano spesso
abbandonate”.
E proprio ad Agliate si fronteggiano due Madonne che custodiscono
la chiave d’accesso alla spiritualità europea più remota: se nel presbiterio della
basilica romanica si staglia l’umana Madonna del Latte, nel battistero accanto appare
invece una Madonna della Tenerezza, il cui sguardo enigmatico è stato
addirittura accostato a quello della famosa Gioconda leonardesca. In quest’ultimo
affresco si distingue un Gesù bambino che abbraccia dolcemente la madre,
gettandole le braccia al collo, mentre si protende sino ad appoggiare la
guancia al suo volto. Il viso della Vergine, invece, è illuminato dalla luce
profusa dal figlio, ma è “velato di tristezza”: particolare spesso straniante, ma
che rimanda alla rivelazione evangelica fatta da Gesù alla madre, in merito al
suo destino di morte e redenzione. Non a caso il collo stesso del bambino
appare rigonfio del “pneuma”, il soffio dello Spirito Santo: altro dettaglio
che, a detta del ricercatore del Gral (Gruppo ricerche archeostorico del
Lambro) Leopoldo Pozzi, dovrebbe collocare “la Madonna agliatese nel canone
della rappresentazione bizantina, benché realizzata attorno al XIV o XV secolo”.
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Vladimirskaja |
Nella chiesa dell’Eleusa (in greco, “Vergine della Tenerezza”), che fu
costruita presso il palazzo imperiale di Costantinopoli da Giovanni Comneno II
(1118-1143), si trova infatti quella che viene ritenuta la matrice originaria
dell’immagine brianzola. Realizzata nel 1130 circa, andò però distrutta e solo
il dono di una copia al principe di Kiev, da parte dell’imperatore bizantino, permise
la sopravvivenza di un modello che spinge le radici della Cristianità nelle misteriose
piane dell’antica Sarmazia. Nel 1155, per ragioni belliche, l’icona di Kiev venne trasferita da Andrej Bogoljubkij nella città di Vladimir (assumendo il
nome di Vladimirskaja, Nostra Signora di Vladimir), approdando infine a Mosca
nel 1395. “Qui – riporta con un velo d’ironia Viktor Lazarev ne “L’arte russa delle icone” – si trasformò in una sorta di suprema protettrice dello stato
russo”.
Non a caso è ancor’oggi perfettamente conservata nella prestigiosa
galleria Tre’jakov della capitale. Il sottile sarcasmo dello studioso è indice
di un segreto che stringe Agliate alla Terza Roma. Se è pur vero che l’opera
brianzola pare rifarsi ai canoni bizantini, la sua finalità escatologica è in
realtà molto diversa: confrontando le caratteristiche dei gioielli dell’arte
comnena e di Agliate, si notano volti analogamente ovalizzati, ma la seconda
presenta un naso più lungo e sottile, con labbra minuscole che contrastano
rispetto agli occhi smisuratamente più grandi. Il suo candore etereo ha poco in
comune con le tonalità umane del modello originario, proponendo una
raffigurazione che pare piuttosto regredire nella sua capacità mimetica, per
quanto sia stata realizzata quasi trecento anni dopo l’originaria.
La risposta
non può certo essere scovata in Brianza, né a Costantinopoli, ma appunto nella “Santa”
Russia. Pur mostrando un formale ossequio all’arte gotica lombarda, nell’affresco
agliatese “il mondo diviene indifferente all’esperienza delle visioni ottiche
che si verificano nella natura materiale – fa notare ancora Lazarev – e, con
una sfida evangelica, vengono gradualmente dissolti lo spazio concreto, la
pesantezza, gli scorci, la luce naturale e le leggi di prospettiva: secondo
Isacco il Siro, l’icona è espressione cristallizzata della fede”.
L’immagine di
Agliate non è allora un affresco, ma qualcosa di più simile a un’icona affrescata,
un’icona di una tradizione che nulla dovrebbe avere in comune col mondo
lombardo. Per venire a capo del paradosso, pare si debba proprio appellarsi a un santo!
E in
effetti c’è. Un Sant’Onofrio che si staglia sul muro del battistero, proprio
accanto alla Madonna della Tenerezza: se lo sguardo “triste” di quest’ultima è
segno della presa di distanza dalla caduca materialità terrena (in omaggio alla
sentenza evangelica, fatta poi propria dalle correnti dualistico-gnostiche,
secondo cui “tutto il mondo giace in potere del Maligno”, 1 Gv 5, 19), è il
peculiare culto che associa la Madonna a Sant’Onofrio a chiarirne infine l’originaria
matrice.
La “tristezza” è infatti cifra di una soglia metafisica fra dicibile e
indicibile, fra ciò che può essere visto e non, raggiungibile solo attraverso
una conoscenza d’altro livello, dai greci chiamata “gnosi”. E se la
Vladimirskaja assunse in territorio russo funzioni e significati prettamente
ascrivibili alle radici magico-escatologiche della sua originaria società matriarcale
(come ben illustra un reportage di Wallace Mackenzie su una cerimonia del 1871
contro il colera, durante la quale l’icona venne portata in processione attorno
a un villaggio da sole donne, fustigando gli uomini che si fossero palesati sul
loro cammino mentre aravano un cerchio magico), le immagini di Sant’Onofrio e
della Madonna della Tenerezza erano le uniche due rappresentazioni che ad
Agliate il popolo adorava per finalità taumaturgiche (soprattutto quando imperversava
la peste). Non a caso, eventi magico-miracolosi sono narrati anche per la copia
della Madonna presente nella chiesa di San Satiro a Milano, fatta forse
edificare da quell’Ansperto da Biassono già responsabile della basilica di
Agliate: il puntino rosso sulla gola del bambino, qui, pare esser l’ultimo
rimasuglio del sangue sgorgato in occasione della pugnalata sferratagli da un
crapulone poi convertitosi. Agliate, Milano, Costantinopoli e Mosca. Quattro
antiche capitali, un artista senza nome, il medesimo segreto. Expo comincia da qui.
Maggiori informazioni: http://www.turismo.milano.it
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