Nessun
proclama, ma la semplice evidenza dei fatti. Con la consueta eleganza che
contraddistingue il modo di relazionarsi del popolo omanita,
Mohammed Said Mamari, consigliere alle Fondazioni e agli affari religiosi del
Sultanato, è giunto in Italia per la nuova tappa della mostra itinerante “Tolleranza
religiosa. L’Islam nel Sultanato dell’Oman”.
Ospitata nelle sale di Palazzo Reale a Milano e aperta gratuitamente al pubblico sino al prossimo 22 febbraio,
l’esposizione intreccia informazioni sullo stile di vita nel grande
Paese ai piedi della penisola arabica, foto evocative, oltre a sorprendenti
sculture lignee ove i caratteri della grafia araba si trasformano in immagini
di dedizione. Fra profumi d’incenso, Corani miniati (la cui sacralità
prevede siano sempre conservati in luoghi sopraelevati, con eventuale sepoltura delle pagine danneggiate in pozzi prosciugati) e toccanti testimonianze del
video documentario di Wolfgang Ettlich, l’Islam traluce in tutta la sua secolare
complessità: si manifesta in correnti, scuole, aspirazioni ma, soprattutto, si apre a quella straordinaria capacità d’integrazione che, non casualmente, gli ha
permesso di trasformarsi in uno dei pilastri della storia dell’umanità.
“Se
forme di convivenza sono state possibili nel tempo – ha evidenziato Ada Lucia
De Cesaris, vicesindaco di Milano – significa allora che occorre rilanciare il
dialogo, valutare nuove basi su cui costruire la fiducia e il rispetto
reciproci, perché proprio oggi sono in gioco i fondamenti dell’interculturalità.
Milano, che dal prossimo 1° maggio diverrà il punto d’incontro del globo
attraverso Expo2015, sente la responsabilità di riaccendere l’attenzione su un’esigenza
non procrastinabile, facendosi laboratorio privilegiato per le politiche
del futuro”.
Grazie
all’istituzione di un albo ufficiale delle confessioni metropolitane, già
salite a 150, e attraverso un progetto scolastico sulla storia delle 5 religioni più
influenti, la città è pronta a rilanciare le aspirazioni universali contenute
nel famoso Editto dell’imperatore romano Costantino (313 d.C), pietra miliare
su cui sono state poste le basi della convivenza interreligiosa nello spazio
delle pubbliche istituzioni. Un progetto su cui l’Oman investe da lungo tempo
energie e risorse, portando per il mondo la propria mostra, inaugurata nel
maggio 2011 a Vienna, in Austria, e di lì già approdata in oltre 20 Paesi.
“L’intransigenza
religiosa all’interno del mondo musulmano – questo il proclama di Nizwa ricordato a tutti i
visitatori della mostra – non può che causare arretratezza e diffondere
violenza, ossia elementi in totale contraddizione con i principi del vero
Islam, che al contrario condanna ogni forma di fanatismo e di radicalismo,
essendo esso stesso la religione della liberalità”.
La miglior dimostrazione
viene proprio dall’organizzazione sociale del Sultanato, che nella complessità
del suo territorio, dai fiordi della penisola di Musandam sul Golfo
Persico alle vette dell’al-Hajar (con l’apice della Montagna del Sole, a ben
3.004 metri d’altezza), così come per le dune del deserto dell’Arabia centrale, ha
dovuto necessariamente trovare forme di mediazione per una serena convivenza
nei suoi limitati spazi abitabili.
Ricevuta una lettera direttamente dal Profeta nel
629, i due re dell’Oman Abd e Jayfar instaurarono una fitta corrispondenza per
comprendere a fondo i principi della nuova religione e, senza sollevare alcuna
spada, accettarono l’Islam del tutto pacificamente. Fu infatti allora che si compì la transizione dai culti beduini tradizionali, le cui origini sono “incise”
nello straordinario sito d’epoca bronzea di Salut (III millenio
a.C.), vicino a Nizwa, e fatto conoscere al mondo grazie a 9 campagne di scavi archeologici coordinate da Alessandra Avanzini dell’Università di Pisa.
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Salut @ Silvia Lischi |
E’ qui che
i racconti di viaggio di Re Salomone collocano la nascita del poderoso sistema di
fortezze che hanno storicamente contraddistinto il profilo del Paese, ritrovandosi il sovrano stesso al cospetto di una misteriosa e antichissima
costruzione di cui nessuno conosceva l’origine, se non un’aquila sacra (o forse i
sacerdoti della Mesopotamia, con cui l’Oman mantenne sempre attivi traffici
commerciali). E sempre da qui si sviluppò la complessa rete di aflaj che, come
vene sotterranee, portano acque fresche per l’intero territorio omanita (ben 5 sono patrimonio Unesco). Molti restano tuttavia i misteri attorno alle origini dell’Oman.
La
stessa città fantasma di Ubar, “l’Atlantide delle sabbie” nel governatorato di
Dhofar, è sicuramente molto più che una stazione della storica via dell’incenso: se
le sue fondamenta risalgono almeno al 5mila a.C., l’enorme caverna calcarea su
cui sorge rappresenta tuttora un enigma per gli archeologi, che hanno potuto
rendersi conto delle dimensioni dell’agglomerato solo attraverso i dati
satellitari. Il distacco dagli antichi culti e il sovrapporsi dell’Islam
non comportò però alcun trauma. Quando scoppiarono i conflitti fra il
califfo Alì e il rivale omayyade Mu’awiya, capostipiti delle correnti sciita e
sunnita, il re Abbad bin Abd bin Al Jolanda si mantenne sopra le parti,
sviluppando piuttosto una terza via: la scuola del diritto ibadita, poi diffusa
attraverso il centro propulsore di Bassora in Iraq.
Secondo questa corrente,
tutte le altre concezioni religiose o modelli interpretativi sono ritenuti
degni di considerazione, mentre lo spargimento di sangue per differenze
teologiche viene tacciato d'abominio. Ogni singolo musulmano teologicamente
preparato diviene allora un potenziale candidato per ricoprire il ruolo d’imam,
un primo fra pari, il cui ruolo d’interprete resta sempre soggetto alla comunità
credente (Umma), qualora la sua interpretazione si discosti dalla sensibilità popolare. Non è perciò un caso se ebrei, cristiani e induisti abbiano sempre
convissuto in Oman senza problemi, potendo costruire e gestire liberamente i
propri templi - in particolare a Mascate e Salalah - a patto di non esercitare attività
missionaria (divieto previsto per i musulmani stessi): la gestione delle
comunità religiose spetta infatti allo Stato, attraverso il Ministero
per le Fondazioni religiose, al fine di garantire pari diritti a ciascuna
confessione.
A differenza di altre tradizioni musulmane, la scuola ibadita privilegia il principio della semplicità (le sue moschee sono addirittura prive di minareti
e poco decorate internamente), benché a Mascate sia stato edificato uno straordinario luogo di culto di ben 416mila metri quadrati (la Grande Moschea Sultan Qabus) che, alla luce di un lampadario di 1122 lampadine in cristalli Swarowski, riesce a fondere in sé ogni diverso stile islamico. L’armonia delle sue contaminazioni ha ispirato addirittura la creazione di un proprio Corano, i cui lavori
di decorazione hanno richiesto quasi otto anni (mettendolo a disposizione solo
nel 2006, ultimo di una serie di riproduzioni la cui raffinatezza e sobrietà hanno dato vita a una vera e propria scuola omanita). Analogamente, le donne
concorrono allo sviluppo della società, anziché esserne guidate o condizionate,
potendo far conto su un servizio d’istruzione obbligatoria sino all’università. Devono essere in grado di mantenere se stesse e hanno diritto a istituti esclusivi, come il “centro per l’istruzione religiosa delle donne”
(da loro direttamente gestito). Hanno pieni diritti
politici, ricoprono incarichi ministeriali e possono concorrere a qualsiasi
ruolo lavorativo, prestando persino servizio militare.
Di fronte alla
nascita dei figli sono sempre sostenute da una famiglia "allargata", nonché chiamata immancabilmente a piantare un germoglio di palma da datteri, in modo tale che i figli possano avere di che sfamarsi per tutta la vita. Per aprirne lo sguardo sul mondo, il loro cordone ombelicale dev'essere sotterrato in
luoghi benedetti, mentre gli occhi del neonato vengono dipinti con ceneri di
olibano: a sua volta la bocca è cosparsa con polpa di
datteri masticati, cosicché l’orecchio destro possa meglio udire l’esortazione a
pregare, sussurratagli prima dell’invocazione contro il male nel sinistro. La famiglia,
infine, verserà a tutela del figlio tanto argento quanto sarà il peso dei
capelli rasati al settimo giorno: allora, e soltanto allora, il figlio potrà ricevere il
proprio nome, preparandosi alla circoncisione in ospedale qualora sia maschio, ma non correndo alcun rischio di mutilazione se femmina. Non altrettanta
attenzione pare però riservata alla morte, visto che la tomba del defunto consiste in una
semplice fossa ove riporre il feretro bianco della salma, diligentemente lavata e
profumata, ma a cui non viene mai intestata alcuna epigrafe: tutt’al più sono posizionate solo due
pietre all’estremità della tomba per i maschi, o tre per le femmine. Qualsiasi possa essere il nome scritto, è pur sempre destinato a essere eroso dal tempo.
In vita,
invece, prevale sempre la vocazione alla solidarietà, esaltata dalla festa dell’Id
(o del sacrificio, in calendario il nono giorno del dodicesimo mese del
calendario islamico): un’offerta a base volontaria (sadaqa) viene sempre affiancata da
una obbligatoria (zakat, purificazione), riscossa però a partire da un
determinato stato patrimoniale e mai superiore al 2.5% del reddito annuo.
Sarà forse per questo che il famoso marinaio Sinbad tornava spesso sulle coste dell’Oman, il
cui impero marittimo di spezie e incensi, nell’epoca d’oro del XVIII secolo, raggiunse gli antipodi dell’intero
continente africano: i suoi attracchi non
sono mai stati semplici ripari per avventurieri, ma porti sicuri e sereni dalle incostanti onde della vita.
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