Uno spartiacque. La recente
uscita del libro “Gesù in India?”, frutto di uno studio decennale sul campo del
sociologo Manuel Olivares, rappresenta il punto di svolta per la bibliografia
italiana sugli “anni mancanti” di Gesù.
Per due ragioni, almeno. Non solo
raccoglie ed esamina criticamente i contributi pubblicati in questi anni
principalmente all’estero, ma apre nuove prospettive di sviluppo, invitando a
un dialogo quanto mai indispensabile fra culture e religioni oggi in stretta convivenza.
Dall’India
al Pakistan, passando per il Nepal e i monasteri dell’Himalaya, la ricerca -
anticipata in alcuni approfondimenti di Altrimenti.net ("Non aprite quella tomba!", "Luci su Qumran") - si arricchisce
attraverso il fecondo scambio con Vivere Altrimenti: casa editrice fondata
proprio da Manuel Olivares e insieme alla quale è in corso una collaborazione di Altrimenti.net da aprile 2015.
Prima di dar vita al suo progetto editoriale, nel 2009, Manuel aveva esordito con un
prezioso saggio pubblicato per Malatempora (Vegetariani come, dove, perché),
cui ne seguirono altri sempre in linea con la filosofia della ecosostenibilità
(Comuni, comunità ed eco villaggi in Italia, 2003; Comuni, comunità ed
ecovillggi in Italia, in Europa, nel mondo, 2007). Titoli e collane sono ora
visionabili direttamente sul sito di Vivere Altrimenti. Le foto corredate
all’intervista sono di Manuel Olivares.
1) Cominciamo dal titolo. “Gesù in India?”. Il
tuo punto interrogativo rappresenta una profonda cesura rispetto alle
pubblicazioni sinora apparse sul tema, a loro modo tendenti ad affermare la
possibilità che Gesù sia vissuto in India. Si tratta di una scelta dettata
dalla prudenza, per via della circospezione con cui in Italia vengono accolti
studi su Gesù non in linea con la posizione della Chiesa cattolica, di rifiuto
di un certo sensazionalismo pubblicistico, oppure le prove raccolte spingono a
mettere in dubbio le tesi eterodosse?
“Io cerco di mantenermi
sempre possibilista e, soprattutto, “laico” nelle diverse questioni di cui mi
occupo. Fermo restando che a circa due millenni di distanza sia difficile dare
risposte definitive, la mia posizione personale sugli eventuali anni indiani di
Gesù è la seguente: il Cristianesimo nasce, di fatto, a Nicea nel 325, con l’omonimo
concilio (da cui non a caso è scaturito il Credo Niceno), in
buona parte come grande progetto politico di Costantino.
L’impero romano stava
seriamente scricchiolando, i barbari premevano su molti confini ed era
necessario trovare un elemento di coesione per popoli che, pur riconoscendo
tutti lo stesso imperatore, erano profondamente diversi ma, chi più chi meno,
sotto grave minaccia. A mio modesto parere Costantino fu straordinariamente
lungimirante, individuò nel Cristianesimo un seme di rinascita dello stesso
impero, oggi diremmo un “software” con cui, nel tempo, si sarebbero potuti
gestire gli stessi barbari (ingestibili militarmente, malgrado lo straordinario
livello della civiltà latina) e la storia gli diede ragione. L’impero romano
rinacque come sacro nell’Ottocento
d.C., con l’incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III, evento che
potrebbe essere considerato come il compimento della prospettiva costantiniana.
Srinagar - Kashmir |
In tutto questo, però, Gesù
assurgeva al ruolo di protagonista fondamentalmente nella sua espressione
simbolica, di uomo-Dio in grado di “sconfiggere la morte”, anche a prescindere
da quelli che sono stati i reali eventi che hanno coinvolto il cosiddetto Gesù storico (del
resto alle masse eterogenee che popolavano i territori dell’impero romano, in
buona parte analfabete nei primi secoli dell’era cristiana, era necessario
presentare un uomo-simbolo del tutto fuori dal comune, per essere rapidamente
efficaci nelle conversioni).
In altre parole, trovo del
tutto verosimile che il Gesù della fede si sia facilmente sovrapposto, nella lunga epopea
del Cristianesimo, all’uomo in carne e ossa che rispondeva al nome ebraico
Joshua Ben Joseph, il cui stile di vita e del suo sparuto gruppo di seguaci era
molto simile a quello di gruppi di śramana ― il significato del termine
pali è
“ricercatori”, “asceti” ― indiani (che avrebbero anche ispirato,
secoli prima, gli itineranti seguaci di Gautama Siddharta, il Buddha). Ora, senza naturalmente
contestare la fede a chi ne è provvisto, credo qualche domanda possa
legittimamente sorgere. Di qui, un provvidenziale
fiorire d’ipotesi disparate, alla ricerca di una risposta soddisfacente
all’intrigante questione: chi è stato veramente Gesù di Nazareth?In piena secolarizzazione
questa fioritura trova, naturalmente, “spazio per spandere la propria
fragranza” e questo credo possa avere ripercussioni di vario ordine e grado (ne
parleremo più avanti).
Dunque, per rispondere con
più precisione alla tua domanda, evidenzierei due elementi a mio parere
inoppugnabili:
A) Dobbiamo concedere tranquillamente
che il Cristianesimo, nei secoli, si sia strutturato su una versione ufficiale
della vita di Gesù di Nazareth (facilmente non coincidente con quella storica,
effettiva) e che non poteva essere altrimenti. Di conseguenza, dobbiamo
concedere alle diverse espressioni del Cristianesimo ufficiale la difesa
strenua di quella stessa versione e dunque che l’appassionante dibattito sulla
versione storica possa soprattutto articolarsi in un ambito laico, secolare
che, tuttavia, nei paesi cosiddetti cristiani è, oggi, preponderante;
B) A fronte del molto tempo
passato e dei vivaci flussi e riflussi storici che si sono susseguiti, della
grave scarsità di prove documentarie e di altra sorta e degli sforzi fatti e
ancora in atto affinché la versione ufficiale non venga contraddetta, credo sia
abbastanza difficile dare scientificità alle diverse ipotesi su cosa abbia
fatto realmente Gesù di Nazareth. A fronte di questo, lo stesso filone di ricerca
che ho seguito io, dei cosiddetti anni indiani di Gesù, non può, a mio parere, non essere affrontato
con possibilismo e laicità. Di qui il punto interrogativo nel titolo. Credo,
come ho scritto nell’introduzione al testo, sia doveroso".
2) Sposare o meno la tesi di un Gesù vissuto in
India è solo questione di prove “scientifiche” e accettazione di metodologie
riconosciute, o sono piuttosto in gioco altri fattori determinanti?
Ti ringrazio per questa domanda perché ci
permette di entrare meglio nello spirito del testo. Fermo restando che da un punto
di vista scientifico, al momento, non si possa essere perentori, credo che a
partire da una rilettura di alcuni aspetti della storia degli ultimi duemila
anni, possibilmente scevra da pregiudizi e utilizzando la logica e la
verosimiglianza, la tesi che Gesù sia stato in una o più occasioni in India meriti
di non essere liquidata come puramente stravagante.
Partiamo da un importante
dato generale: è storicamente dimostrato che, ai tempi di Gesù, i contatti tra
mondo mediterraneo, Medio Oriente e Oriente fossero, possiamo dire, quotidiani.
Noi tendiamo naturalmente a pensare (e
qui ci sono i primi pregiudizi da eliminare) che Oriente e Occidente siano e,
soprattutto, siano sempre stati, due compartimenti a tenuta stagna mentre
invece, pur tra alterne vicende storiche, comunicano e si fecondano
reciprocamente da millenni.
"Ai tempi di Gesù la complessa rete di vie
carovaniere (parte delle quali sarebbero successivamente ricadute sotto la
definizione di Via della seta)
consentivano il transito costante di immense quantità di merci, di eserciti e, come scrive l’economista
indiano Premio Nobel Amartya Sen, di ricercatori del vero, di filosofi.
L’imperatore indiano del terzo secolo avanti
Cristo, Ashoka, convertitosi al Buddhismo, mandò un numero difficilmente
quantificabile di missionari in buona parte del mondo allora raggiungibile ― soprattutto attraverso la rete di vie
carovaniere ―
dall’India. Mandò i figli, Mahinda e Sangamitta, in Sri Lanka e monaci
buddhisti nei territori dell’attuale Persia, della Mesopotamia, della Grecia,
dell’Egitto. Quelle di Ashoka sono state, probabilmente, le prime missioni
della storia ma questo noi, a scuola, non
lo studiamo. E Ashoka conosceva abbastanza bene il mondo ellenistico perché nel
quarto secolo avanti Cristo Alessandro Magno era giunto nella Terra dei
cinque fiumi, il Punjab e a partire dal
303 avanti Cristo, per oltre dieci anni, il diplomatico ellenistico Megastene
frequentò la corte di Chandragupta Maurya a Pataliputra (odierna Patna, nello
stato indiano del Bihar) e Chandragupta era il padre di Ashoka. L’arte del
Gandhara, sviluppatasi tra il primo secolo avanti Cristo e il quarto dopo
Cristo, con il suo ricco repertorio di statuaria buddhista realizzata con
criteri estetici greci, esprime forse meglio della documentazione scritta
l’incontro profondo, fino alla fusione, di cultura greca e indiana proprio a
cavallo dell’era cristiana
Dunque iniziamo a mettere un primo punto
fermo: è del tutto verosimile che Gesù, ai suoi tempi, se lo avesse voluto,
sarebbe potuto giungere fino in India. Si sarebbe potuto aggregare a carovane
di mercanti, non avrebbe avuto bisogno di soldi ma solo di buona salute e forza
fisica, avrebbe dovuto essere disposto a collaborare nelle incombenze
quotidiane e a difendere le merci dagli attacchi dei predoni, dividendo doveri
e pasti quotidiani con i compagni di viaggio. Questa ipotesi diventa a maggior
ragione verosimile a fronte dei famosi anni mancanti ― dai quattordici ai trenta ― di cui non parlano i Vangeli.
Manoscritti che descrivano gli anni
“giovanili”, della formazione di Gesù in India, sembra proprio abbiano fatto
capolino da biblioteche monastiche himalayane. C’è chi li ha tradotti e divulgati,
inizialmente in francese, alla fine dell’Ottocento, in Occidente: Nicholas Notovitch
che, ovviamente, è stato messo al bando da un’articolata propaganda schierata strenuamente
a difesa della versione ufficiale.
Del resto, cosa ci si poteva aspettare? Forse che, dopo la pubblicazione del
testo di Notovitch La vie inconnue de Jésus-Christ, il Vaticano, magari a mezzo enciclica, dichiarasse: “ops, ci siamo
sbagliati, il Cristianesimo è in buona parte debitore nei confronti
dell’Induismo e del Buddhismo perché Gesù, ci era sfuggito, si è formato in
India”. Dunque si è fatto di tutto per dimostrare che Notovitch fosse un megalomane
e che il suo libro fosse una frode bella e buona. Nello stesso monastero, però,
giunse molti anni dopo Swami Abhedananda, grande intellettuale indiano,
pochissimo conosciuto in Italia, mentre ha vissuto oltre un ventennio negli
Stati Uniti.
Nel 1922 Swami Abhedananda trova i manoscritti che tanto scalpore
avevano fatto in Europa dopo la pubblicazione del testo di Notovitch e ne
traduce alcuni frammenti, sentendosi di confermare quanto scritto ne La vie
inconnue de Jésus-Christ. Di Abhedananda in genere si parla molto poco.
Il suo testo: Journey into Kashmir and Tibet è quasi irreperibile fuori dall’India e non l’ha letto quasi nessuno.
Io ho deciso di fare eccezione, vivendo in India da circa 10 anni ho reperito
il testo e l’ho citato abbondantemente nel mio. Il grave errore che, a mio
parere, fece Abhedananda, tuttavia, fu di non creare i presupposti perché altri
potessero continuare la sua ricerca. I manoscritti avrebbero dovuto quantomeno
essere fotografati pagina per pagina o, essendo disponibili in più copie (pur
in diversi monasteri), avrebbero dovuto essere affidati a istituzioni
universitarie e a studiosi specializzati. Tutto questo, invece, non è accaduto,
dunque oggi non si può parlare di prove.
Va anche detto che raggiungere il Ladakh, come fece Abhedananda, negli anni
venti era di per sé un’impresa a rischio di vita, dunque non è difficile
immaginare che anche se avesse voluto forse non avrebbe potuto fare di più. Abhedananda
è stato l’ultimo a visionare i manoscritti da cui è stata ricavata La vie inconnue
de Jésus-Christ. Non che altri, dopo di
lui, non li abbiano cercati ma, comprensibilmente, sono spariti.
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Nicholas Roerich - autoritratto |
Tra coloro che si sono spinti sul tetto del
mondo troviamo Nicholas Roerich, pittore, scenografo, antropologo russo della
prima metà del Novecento.
Non trovò ―
comprensibilmente, ripeto ― i
manoscritti ma raccolse una ricca mole di leggende, storie, quella che io ho
chiamato, nel mio testo, “la tradizione orale himalayana”, in merito alla
permanenza di Gesù in India. La cosa curiosa è che tale tradizione non è solo
indiana; Roerich, viaggiando ininterrottamente nelle montagne dell’Asia per
oltre quattro anni, ne ha trovate tracce significative fino in Calmucchia.
Qui si pone, effettivamente, un problema
metodologico, ovvero la domanda: quanta dignità scientifica vogliamo dare
all’oralità? A questo punto sociologi, antropologi dovrebbero avere voglia di coinvolgersi
nel filone di ricerca.
È affascinante il fatto che si trovino
tasselli del puzzle dell’eventuale vita indiana di Gesù in molte parti dell’Asia
e che, alla fine, considerando diverse testimonianze e diversi dati, il quadro
d’insieme che ne risulta è tutto sommato coerente.
Ti faccio un ultimo esempio: è stata
documentata, in Afghanistan, una comunità di Followers of Jesus, Seguaci di Gesù che pur essendo del tutto autonomi da chi ― in principio in India, in Punjab per la
precisione ―
sosteneva che Gesù fosse sopravvissuto alla crocifissione e morto in tarda età
in Kashmir, hanno la stessa versione dei fatti.
Dunque non siamo nelle condizioni di poter
dire: è assolutamente vero che il Gesù storico non godeva di conoscenza infusa perché “generato, non creato della
stessa sostanza del padre”, ma buona parte di quello che ha dimostrato di saper
fare, lo ha imparato in India. Oppure di dire: è assolutamente vero che il Gesù
storico non è morto e poi risorto, ma è
sopravvissuto alla crocifissione e poi è morto ed è stato sepolto in Kashmir. Tuttavia,
mi sento di poter affermare che, dati di vario ordine e grado alla mano (e qui
non ho potuto non fare solo qualche accenno in ordine sparso), cercando di
essere lucidi e di farci assistere dal buon senso, l’ipotesi, anzi le ipotesi
(perché sono più di una) degli anni indiani di Gesù non sembrano, ancora una
volta, del tutto peregrine. Dunque ti risponderei in sintesi così: ricchezza di
dati (pur non inoppugnabili), buon senso, logica e verosimiglianza sono altri
fattori determinanti che entrano in gioco nella considerazione della questione
in oggetto, pur, giova ripeterlo, a fronte di un necessario spirito laico e possibilismo di fondo".
3) Ritieni che la ricerca di una soluzione debba
essere compito di qualunque persona si rapporti a Gesù, al fine di svilupparne
la problematicità senza condizionamenti, oppure occorre che questo tema resti
competenza di specialisti, evitando in tal modo il proliferare di tesi mal argomentate?
Booth, villaggio nei pressi della supposta Tomba di Mosé |
Io ritengo che se alcuni
specialisti si prendessero la briga di contribuire a far luce sulla questione,
non farebbero un soldo di danno. Certo, i più grandi nemici della conoscenza
sono il semplicismo, il pressapochismo cui io per primo devo stare molto
attento e dunque lo specialista può dare alcune garanzie in più rispetto, ad
esempio, al fomentato new ager. Io
auspico che in questa ricerca si coinvolgano anche istituzioni accademiche, non
so quanto sarà possibile. Ricercatori free lance allo sbaraglio credo possano
essere anche i benvenuti, certo, il rischio di tesi mal argomentate c’è. Vorrà
dire che ci si faranno i conti.
4) La ricerca su Gesù ti ha spinto in Paesi
differenti non solo per ordinamento politico, ma anche per tradizioni
religiose. Come sei stato accolto, di volta in volta, dalle persone cui hai
manifestato i tuoi propositi? Potere e religione possono ancor oggi ostacolare,
o addirittura mettere a rischio, la libertà di ricerca?
Cominciamo dall’ultima domanda: potere e
religione possono ancora oggi ostacolare o addirittura mettere a rischio la
libertà di ricerca? Fin troppo facile rispondere: sì.
È nella natura stessa del potere, di cui la religione non può non essere un’importante espressione, tessere i fili della storia, attraverso versioni ufficiali di come siano andati i fatti che variano, facilmente, da paese a paese.
Ho potuto costatarlo facilmente leggendo testi occidentali, di storia e filosofia, ma anche omologhi indiani. Come accenno nel mio Gesù in India?, le tesi riportate sono tanto spesso considerate peregrine in Occidente, quanto di frequente vengono prese con la dovuta, pur spesso pacata, serietà nella stessa India, la cui intelligentsia (a partire da Pandit Nehru) si è di volta in volta dimostrata possibilista - quando non apertamente favorevole - alla prospettiva di uno o più soggiorni indiani di Gesù.
È nella natura stessa del potere, di cui la religione non può non essere un’importante espressione, tessere i fili della storia, attraverso versioni ufficiali di come siano andati i fatti che variano, facilmente, da paese a paese.
Ho potuto costatarlo facilmente leggendo testi occidentali, di storia e filosofia, ma anche omologhi indiani. Come accenno nel mio Gesù in India?, le tesi riportate sono tanto spesso considerate peregrine in Occidente, quanto di frequente vengono prese con la dovuta, pur spesso pacata, serietà nella stessa India, la cui intelligentsia (a partire da Pandit Nehru) si è di volta in volta dimostrata possibilista - quando non apertamente favorevole - alla prospettiva di uno o più soggiorni indiani di Gesù.
A me piace infatti pensare a una categoria
parallela a quella di storia;
la sub-storia: tutto ciò che avviene, più o meno sotterraneamente (non perché
occulto ma perché volutamente non ben documentato), tra le righe o le note a
pié pagina del clamore dei media del mainstream. Quante volte la verità
andrebbe cercata nella substoria piuttosto che nella storia? Per fare, molto
rapidamente un esempio, avendo recentemente visto il film Piazza delle
cinque lune: il rapimento e l’uccisione
di Aldo Moro. In ogni telegiornale, su ogni o quasi testata giornalistica e su
testi che non si focalizzino su una lettura diversa della vicenda, i fatti
hanno come protagoniste le Brigate Rosse. Dunque, nella storia d’Italia il
rapimento e l’uccisione di Moro vanno ricondotti alle BR. Lo sanno anche i
bambini dell’asilo. Io stesso, ricordo, ne venni a conoscenza alle elementari,
parallelamente allo svolgersi degli eventi.
Una delle tombe nell'area in cui sarebbe ubicata anche quella di Mosé
|
Se però si considera la cosa più a
fondo, sembra proprio che le Brigate Rosse siano state eterodirette, perché l’eliminazione
di Moro rientrava in una strategia complessiva di ambienti completamente
diversi.
Qui siamo nella substoria, ma chi volesse sapere come sono andate veramente le cose forse dovrebbe continuare a ricercare in ambito substorico più che accontentarsi di una versione ufficiale, semplificata in cui i cattivi sono outsiders, terroristi e nessun ambiente ― deviato o meno ― della struttura statuale o interstatuale vi sia coinvolto. Ma sui libri di storia, sappiamo, si trovano le versioni ufficiali, funzionali a determinate esigenze del potere.
Qui siamo nella substoria, ma chi volesse sapere come sono andate veramente le cose forse dovrebbe continuare a ricercare in ambito substorico più che accontentarsi di una versione ufficiale, semplificata in cui i cattivi sono outsiders, terroristi e nessun ambiente ― deviato o meno ― della struttura statuale o interstatuale vi sia coinvolto. Ma sui libri di storia, sappiamo, si trovano le versioni ufficiali, funzionali a determinate esigenze del potere.
Custode della tomba di un santo musulmano associato a Mosé |
Del resto, non può che
essere così. Fabrizio de André cantava che bisogna essere veramente “coglioni”
per “non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. La sua è una
frase iperbolica, da vecchio anarchico, ma credo sia, in buona parte,
veritiera. Questo non significa sia possibile realizzare una società scevra da
qualunque forma di potere, ma che nella lettura di tutto ciò che ci circonda
bisogna sempre considerare le diverse espressioni del potere: solo un ingenuo può
pensare non abbiano un effetto fortemente condizionante. Le espressioni del
potere sono molte, diversificate, utilizzano diversi software e tanto più questo ci è chiaro, quanto più
si vive in paesi diversi, con diverse strutture di potere. Vedendole
comparativamente, le si può comprendere meglio.
Veniamo ora alla prima domanda: la mia
esperienza sul campo è stata molto piacevole, sono stato accolto sempre
degnamente (del resto mi sono mosso in India dove, ripeto, le ipotesi inerenti
agli eventuali anni indiani di Gesù sono, pur discretamente, incoraggiate; il
paese ne avrebbe molto da guadagnare, qualora se ne potesse dimostrare la
veridicità). Ad essere proprio franco (così facciamo
subito un po’ di substoria), credo
sia giusto spezzare una lancia in favore del mondo musulmano.
Prof. Fida Hassnain |
Il Professor Hassnain ― sufi, storico kashmiro, ex direttore del
Museo della Antichità dello Stato di Jammu e Kashmir e degli Archivi Nazionali
Kashmiri e uno dei pionieri del filone di studi degli anni indiani di Gesù ― mi ha dato, sin dall’inizio, tutto
l’appoggio possibile per la mia ricerca. Ho poi collaborato molto bene con la Comunità
Islamica Ahmadiyya, presso la cui sede
principale, a Qadian (in Punjab) sono stato ospitato egregiamente. Con membri
della Comunità, soprattutto della sezione kashmira di Srinagar, abbiamo avuto
un fruttuosissimo scambio di libri, alcuni dei quali di difficile reperibilità
e abbiamo approntato, insieme, un buon centro di documentazione. Devo dire con
altrettanta franchezza che in ambito buddhista (nel monastero di Hemis in
Ladakh e nella Nunnery della Druk Amitabha Mountain in Nepal) non ho trovato lo
stesso calore, oltre a un sostanziale disinteresse alla creazione di una
fruttuosa collaborazione. Le ragioni di questa asetticità possono essere
comprensibili, ma mi piace smontare qui alcuni luoghi comuni che vedano,
stereotipicamente, i musulmani come “aggressivi” e i buddhisti come placidi e
cooperativi.
![]() |
Il Trono di Salomone, Srinagar @AlbertoCaspani |
In realtà, una bella rivelazione di questa
ricerca è stata proprio la nobiltà che ho trovato nella piccola sezione di
mondo musulmano con cui sono entrato in contatto.
Non parlo solo degli ahmadiyya che sono i più tenaci sostenitori di un’ipotesi in particolare degli anni indiani di Gesù e, dunque, si sono posti ragionevolmente bene nei miei confronti. Aneddoti ce ne sarebbero diversi, voglio raccontarne solo uno.
Non parlo solo degli ahmadiyya che sono i più tenaci sostenitori di un’ipotesi in particolare degli anni indiani di Gesù e, dunque, si sono posti ragionevolmente bene nei miei confronti. Aneddoti ce ne sarebbero diversi, voglio raccontarne solo uno.
Roza Bal @AlbertoCaspani |
Sono a Srinagar (aprile 2015) e ho bisogno di
una biblioteca. Mi suggeriscono di andare a Hazrat Bal, luogo di un celebre
santuario dove si trova anche il campus della University of Kashmir. Ho speso
nel campus tre ore in cui ho preso quattro numeri di telefono, di persone ― giovani musulmani di vario orientamento ― con cui mi sono trovato casualmente a
chiacchierare. Uno di loro, Aijaz, mi si è voluto mettere pienamente a
disposizione, mi ha accompagnato nei giri che dovevo fare nel campus, poi in un
piccolo punto-ristoro interno. Aveva una lezione da seguire e dunque mi ha
lasciato, per un’ora, in compagnia di un suo amico (un ragazzo sciita con cui
abbiamo avuto una memorabile, appassionata conversazione). Quando è tornato, mi
ha chiesto se il pasto che lui mi aveva ordinato (il personale del punto-ristoro
parlava solo kashmiro e ho avuto bisogno della sua mediazione) era stato di mio
gradimento; quando ho dovuto pagare, lui ha preteso di fare gli onori di casa.
Io, quel giorno, avevo fatto un prelevamento a un bancomat e avevo 20 biglietti
da 500 rupie che avevo preso dalla tasca per pagare (le banconote erano ben
visibili, perché sporgevano dal portafoglio). Aijaz mi ha fermato dicendomi che
assolutamente dovevo consentirgli di pagarmi il pasto e lui non aveva nemmeno
il portafoglio. Aveva tre banconote spiegazzate da venti rupie ciascuna e, mi
emoziona ricordarlo, un po’ in imbarazzo, a stirare due delle tre
banconote da dare al cassiere (l’importo era, difatti, di quaranta rupie).
Un’immagine che credo mi porterò per tutta la vita; una vera lezione di
nobiltà. Una tra tante di cui potrei raccontare, come della dolcezza dell’Imam,
un po’ obeso, della Comunità Islamica Ahmadiyya di Srinagar, Farooq. L’immagine stessa
della mitezza. Ci siamo trovati, ogni tanto, soli, il pomeriggio nello spazio
sociale della Comunità, dove andavo a consultare testi e a navigare in
internet. Non mi lasciava andare via se prima non avevesse offerto il té con i
biscotti. Quando lo salutavo e gli dicevo: allora ci vediamo domani, grazie di
tutto, lui sorrideva dicendo semplicemente: inshallah, inshallah.
Quanto siano lontane anni luce dallo
stereotipo del musulmano aggressivo e intollerante, persone come Farooq o Aijaz,
lo lascio giudicare a chi legge”.
5) Nel tuo studio non sono stati deliberatamente
riportati alcuni temi più delicati, quali l’esistenza odierna, per linea di sangue,
di possibili discendenti di Gesù. Perché questa scelta? Esistono realmente
persone che si rifanno alla sua figura in termini di eredità familiare e, nel
caso, come vivono questo status?
La discendenza di Gesù è un argomento
piuttosto sfruttato in molti altri libri. A Srinagar esiste una famiglia
identificata nel folklore locale come discendente in linea diretta da Gesù.
Da sin. Zahid della Comunità Ahmadyya, "Discendente" di Gesù, Olivares |
Di un importante esponente si è occupato Andreas
Faiber Kaiser nel suo testo, tradotto in italiano con il titolo Gesù visse e morì in Kashmir. Si chiamava S. Basharat Saleem ed è mancato
qualche anno fa. Era conosciuto, a Srinagar, come guaritore e sosteneva di essere
in possesso di un cruciale albero genealogico che si trova sinteticamente
riprodotto in alcuni libri, ad esempio di Maria Fida Hassnain.
Ho avuto modo di conoscere e trascorrere un
pomeriggio con suo figlio, personaggio a mio parere del tutto fuori dal comune
e dotato di particolare carisma.
Lui (non ne divulgo il nome per rispetto)
sostiene di non sapere molto di questa inusuale discendenza, anche se ci è
“cresciuto dentro”, e ha chiare nella memoria le immagini del gran via vai di
gente che andava a trovare e “riverire” suo padre; costantemente costretto, mi
diceva, a trascurare i suoi problemi per aiutare il prossimo. Allo stesso
tempo, mi ha confessato di non avere alcun interesse a implementare questa
storia di famiglia, che si deve occupare di tutt’altro e che pensa, in ultima
analisi, che la questione degli anni indiani (kashmiri per la precisione) di
Gesù, nel corso dei quali avrebbe anche avuto una moglie e dei figli, non può
che essere oggetto di “fede”. Ci si può credere o meno, ma non si può certo
pensare diventi parte della versione ufficiale della vita di Gesù.
Non ho
inserito questo incontro nel mio libro e non ho accennato alla discendenza per
due motivi: per rispetto del “discendente”, con cui ho sentito una bella, forte
sintonia umana (forse dettata anche dalla suggestione, mi ha emozionato
incontrare l’eventuale discendente di colui che rappresenta l’asse portante del
nostro mondo, della nostra cultura, di tutto quello di cui io stesso sono figlio)
e, forse più banalmente, per una questione di buon gusto. Fermo restando che
anche il filone della discendenza potrebbe essere suggestivamente approfondito...qui
ci vuole Farooq: inshallah!"
6) Hai parlato di un Gesù “transculturale” come
di un’opportunità rivelatasi in questi anni di globalizzazione. Cosa intendi
esattamente e quali conseguenze dobbiamo aspettarci?
"In chiusura una domanda
molto impegnativa. In generale l’essere umano ha dovuto adeguare la sua
coscienza al crescere di livello di complessità della propria organizzazione
sociale. Dal paganesimo (termine riconducibile a pagus, che
significa villaggio) c’è stato un passaggio ai credo universali, in
concomitanza con l’affermarsi degli imperi e delle loro relative esigenze.
Ashoka e Costantino possono rappresentare due esempi validi di imperatori che
hanno identificato in due credo universali ― il Buddhismo e il
Cristianesimo ― altrettanti software per la
migliore gestione dei loro imperi, non senza l’ambizione che questi potessero
un giorno divenire, a loro volta, universali.
Oggi? Siamo in un’epoca di
grandi ibridazioni, contaminazioni, meticciamenti di ogni sorta. La
globalizzazione delle informazioni può rappresentare una buona opportunità per
far uscire, dall’ombra, la substoria.
![]() |
La supposta tomba di Gesù a Srinagar |
Gesù è stato forse la più
pregnante personalità di tutti i tempi ed è giusto pensarlo come trasversale a
diverse culture (a proporlo, passami la battuta, con la dizione no copyright). È
giusto valorizzarne lo spazio onorevole che ha in alcuni settori del Buddhismo
(dove è effettivamente considerato un bodhisattva), in India (dove, tra
l’altro, si sviluppò nel primo secolo dopo Cristo l’interessantissimo
Cristianesimo Malabarita che merita senz’altro di essere approfondito) e,
soprattutto, nell’Islam dove Gesù non solo è considerato un Profeta ma svolge
addirittura la funzione di Messia.
La storia che studiamo, in Occidente, sui banchi di scuola, in buona parte
trascura tutto ciò ed è anche comprensibile sia così. Non rientra nel software da approntare per il buon cittadino
occidentale, ma oggi i confini tra stati, continenti, culture stanno divenendo
progressivamente più porosi, dunque trovo giusto che una provvidenziale
transculturalità, che ha da sempre caratterizzato le vicende della substoria, irrompa nella storia con, si spera, effetti benefici.
Enfatizzare che a livello
transculturale abbiamo una figura fondante in comune, come Gesù, credo possa
aiutare l’incontro più che lo scontro tra civiltà. Un incontro di cui, mi
sembra, ci sia sempre più bisogno; anche perché oggi civiltà diverse (e non
penso solo all’Islam, anche cinesi e indiani hanno un’identità forte con cui
dobbiamo essere pronti a fare i conti, pur nei migliori auspici non
conflittualmente) sono sempre meno “al di là del muro”.
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